martedì 21 febbraio 2012

Alcuni suggerimenti per Camusso e C.

"Marcegaglia cattiva" risponde furiosa Camusso alla richiesta di eliminare l'art 18 per consentire di licenziare fannulloni, ladri e chi non fa il proprio lavoro. Ma perchè non proviamo a fare un altro tipo di trattativa per costruire il futuro e lo sviluppo e non sempre la vecchia e ormai puzzolente storia dei buoni e dei cattivi e dei cattivi e dei buoni? Alcuni piccoli e umili suggerimenti: per esempio dare l'assenso all'abolizione dell'art.18 in cambio dell'impegno degli imprenditori a non esportare capitali, a investirli in Italia, a pagare le tasse, a produrre in modo sostenibile ambientalmente, socialmente e economicamente. Per la Marcegaglia vietato rispondere: " Noi paghiamo tutti le tasse e non esportiamo mai capitali!"

domenica 19 febbraio 2012

ANCORA SULLE OLIMPIADI: FACCIAMO 2 CONTI


Continuano le polemiche sulla non candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2020 e sempre con lo stesso ritornello: " Non siete sportivi, non avete capito che errore è stato fatto, ....non avete capito niente! " Orbene la risposta è sempre la stessa , ma si vede che lor signori non riescono a capire. Ma con gli stessi soldi pubblici non si potrebbero fare delle cose più utili a tutti i cittadini e concordate con gli stessi? E’ stato fatto un referendum per chiedere a noi romani cosa volevamo scegliere tra Olimpiadi ( le le relative opere e infrastrutture) o altre cose altrettanto utili o forse di più. Faccio qualche esempio per spiegare a lor signori, prendendo come stima quella pubblicata di 10 miliardi di €
1) 100 km di metropolitana al costo per km di Madrid?
2) 10 milioni di mq di asili nido per consentire a tutte le donne madri di poter lavorare come noi maschietti?
3) WIFI e BANDA LARGA per tutto il territorio romano e 1 PC per ogni bambino delle elementari e delle medie?
Posso continuare, ma mi fermo qui. E aggiungo un’altra domanda già che ci siamo: Io sono un povero architetto, ma potrebbero dirmi lor signori quanto fantomatico PIL genererebbero nel futuro le 3 proposte alternative alle Olimpiadi ?

LA MANO E' COMPLESSA ?


Ho scritto un libro che è stato pubblicato circa 1 mese fa. L'ho scritto sulla base di esperienze e riflessioni maturate negli anni trascorsi nella gestione manageriale e nella ricerca e sviluppo di sistemi innovativi nel   campo dello sviluppo dei territori. Propongo un approccio innovativo per progettare e realizzare lo sviluppo territoriale ed economico dei territori. Sono infatti convinto, e cerco di dimostrarlo nelle pagine del libro, che le nostre vite sono oggi caratterizzate da notevoli complessità, accompagnate da incertezze diffuse e dalla mancanza di norme di comportamento condivise. Si tratta di una realtà estremamente fluida, le cui diverse componenti si scompongono e si ricompongono continuamente, e in cui ciascun individuo parte di un insieme: soggetto in rete con altri soggetti.
Tutto ciò si riflette anche sulla gestione delle tematiche che riguardano lo sviluppo e la riqualificazione dei territori per i quali sono necessari interventi sostenibili che richiedono i approcci e metodologie innovativi. E’ su questo che propongo la “mano complessa”, richiamando metaforicamente tanto le cinque dita, quali espressione delle diverse fasi di un approccio e di un processo multidisciplinare, quanto la mano nella sua interezza, manifestazione e sintesi dell’approccio sistemico. Il modello a rete proposto, si basa su strumenti e elementi che consentono approcci “mobili” e modalità adeguate di gestione dei processi – una volta definiti i contenuti - come dimostrano i vari casi e esempi citati. Il risultato non è più quello di una cultura specialistica, ma una rete complessa di riferimenti culturali ed esperienziali, che è impossibile prevedere e inserire in un qualche “manuale”; frutto della condivisione delle scelte e della collaborazione empatica tra le persone e le organizzazioni”.

Il libro è destinato a tutti coloro che hanno un ruolo nella gestione dello sviluppo dei territori. In particolare l’abitante della “foresta urbana”, il cittadino, troverà alcune chiavi di lettura per farsi un’idea delle motivazioni per cui – specie in Italia – sempre con maggiori difficoltà si riesce a realizzare infrastrutture ed edifici nuovi e le città hanno difficoltà a funzionare; lo studente potrà farsi un’opinione di come sono cambiate le “regole del gioco” e infine i protagonisti della governance avranno occasione in più per confrontarsi e focalizzare nuovi ruoli e funzioni.

mercoledì 15 febbraio 2012

SOGNAMO UN'ALTRA ITALIA, ALTRO CHE OLIMPIADI!

I commenti post bocciatura del Governo sono per la maggioranza o a favore, ma con la sola motivazione finanziaria, o contro, ma adducendo che è stato tagliato un sogno. 
Il sogno non devono essere le Olimpiadi, ma un’altra Italia! Troppo facile delegare a qualcuno – che ci guadagna pure fiori di quattrini- la decisione e l’organizzazione del tutto e noi che paghiamo 10 miliardi di € per farci belli di fronte al mondo per un mese tra 8 anni. Non credo proprio che a Roma serva di essere conosciuta di più nel mondo. Serve rifarsi la faccia! Con gli stessi soldi rifacciamo Roma per noi e non per un manipolo di costruttori. Metro, ferrovie, piazze, musei, case…..per una città che costruisce il futuro dei giovani per il turismo, i beni culturali, l’informatica, la green economy. Altro che Olimpiadi! Qualcuno ha idee? Ha progetti ? Ha programmi? Dove sono i politici? Che stanno facendo? Chi ci presenta un progetto, 10 progetti per Roma, per l'Italia? Tagli, leggi elettorali, spending review, tutto finalmente sacrosanto! Ma il sogno qual'è!????

domenica 12 febbraio 2012

DESIDERARE LA REALTA’ PER L’ITALIA DEL 2030


COME VOGLIAMO ESSERE TRA 20 ANNI?

Per i  bisogni potremmo volere essere tutti sani, tutti sfamati, tutti sotto un tetto, anche tutti acculturati e poi desiderare di essere tutti soddisfatti (e consci di non mollare mai), tutti a fare quello che ci piace e per il quale siamo competenti e ci guadagnamo da vivere, tutti a poter soddisfare i propri desideri di divertimento e svago secondo il reddito disponibile, .................

Per fare questo le condizioni sono la condivisione, la collaborazione, la responsabilita’, il rispetto, l’ integrita’, l’interdipendenza., .......................

I fondamentali,  la sostenibilita’ integrata: ambientale, sociale, economica; la  valorizzazione del nostro patrimonio storico, culturale, artistico e paesaggistico per lo sviluppo sociale, economico e culturale; la valorizzazione della nostra identita’ e delle nostre caratteristiche socio-antropologiche come volano per lo sviluppo (creativita’, flessibilita’ adattabilita’, individualismo,.....); la valorizzazione del nostro posizionamento geografico e storico in Europa e nel Mediterraneo; la gestione partecipativa della cosa pubblica e delle modalita’ amministrative; la gestione presidenziale del Paese; il federalismo in rete, responsabile & solidale; le infrastrutture e i servizi sostenibili (strade, ferrovie, metropolitane,porti, aeroporti, banda larga, telefonia. satelliti; case, scuole, ospedali, mercati; energia, rifiuti, trasporti, logistica,  ecc) come volano per lo sviluppo; e ancora...............


Allora?! Che facciamo per l’Italia del 2030 ?

sabato 11 febbraio 2012

Che succede ?

Tutti falsi gli allarmi che da qualche mese vengono gridati dai media e da qualche politico e intellettuale sulla crisi finanziaria, economica e , forse, sociale ? No di certo, ma forse più che allarmi dovremmo chiamarli rese dei conti. Si, rese dei conti e finalmente consapevolezza che un’era è nella sua fase terminale e una nuova era si sta affacciando. Sta finendo l’epoca delle certezze e delle sicurezze sempre cercate, sempre credute, ma mai trovate; l’epoca dello sviluppo e dello sfruttamento della natura infiniti; della ricerca del particolare e della perdita del totale. Ma anche l’epoca che ci ha portato ricchezza materiale, cultura e salute.
Non quindi una semplice crisi finanziaria pur con tutto il suo peso, ma una ben più complessa crisi epocale che riguarda integralmente e complessivamente le tematiche socio-economiche, ideali e politiche. E’ una fase simile come quella per esempio che si ebbe dalla seconda metà del 700 alla prima metà dell’800 o come quella del passaggio dal medioevo agli albori rinascimentali del 300 e poi ai trionfi del 400. Cosa ci sarà domani ? Non riuscì a prevederlo Dante, così come Mantegna, ne Voltaire, Napoleone, Kant o Smith. Qualcuno ha presunto di saperlo, ma ha fallito miseramente. Richard Norman – uno svedese dei più affermati consulenti in strategie di sviluppo deceduto nel 2003, – affermò a tal proposito che “ È pericoloso credere di sapere. È molto più salutare sapere che non si sa. I cambiamenti di paradigma ci portano in un territorio che non solo è sconosciuto perché non è stato esplorato, ma che non è stato esplorato e pertanto non si può conoscere per la semplice ragione che non esisteva prima”.
Alcuni dati di base però li abbiamo ormai acquisiti e li possiamo considerare una prima certezza, pur se non utile a fare delle previsioni: viviamo in un mondo globalizzato, dove le identità locale sono in rete, dove la complessità ha raggiunto alti livelli di incognite e dove le persone sono ormai in grado di esprimere pareri, bisogni e desideri. E dove, infine, stiamo passando dal vincolo e dalla regola del manuale e delle leggi sacre alla regola del rispetto e della responsabilità.
In questo barlume di contesto, in mezzo a questo guado pieno di nebbie, effluvi, nubi e rumori possiamo –forse – solo cercare di “aspettare-agendo” su almeno tre fronti.
Ideale. In attesa di scoprire il nuovo “genio” che ci dirà dove andare, che fare e come, vale forse la pena rafforzare le regole che liberalizzano le nostre capacità di pensare, di valorizzare e consolidare il senso e il significato di responsabilità e di rispetto tra di noi, consentendo così a ognuno la sua libertà personale e collettiva.
Politico. Conseguentemente , e sempre in attesa del “genio”, che chissà se mai arriverà visto il nuovo contesto di riferimento, forse vale la pena riorganizzare le modalità di partecipazione democratica alla vita pubblica e la macchina organizzativa dell’amministrazione pubblica. Da un lato affrontando con nuovi approcci e utilizzando anche le nuove tecnologie, le modalità di rappresentanza di tutti i cittadini che vivono in tutti i territori e dei diversi insiemi a cui ciascuno appartiene, dall’altra rileggendo e ristudiando l’etimologia delle due parole insieme e adeguandola al nuovo ambiente che si va esplorando e non certo all’organizzazione ottocentesca, “industriale” e “specialistica” ormai non più in grado di rispondere alle nuove esigenze dei nuovi cittadini. Insieme e in parallelo difendere e affermare i diritti di ognuno, nel rispetto di tutti. Cattolici, mussulmani, protestanti e laici, immigrati e residenti, giovani e vecchi, donne e uomini, omo e eterosessuali., imprese e lavoratori, volontari e dipendenti.
Socio-economico. Ma anche rimettere in sesto quello che non si è riusciti a fare negli ultimi anni (infrastrutture materiali e immateriali, liberalizzazione sane, rafforzamento della cultura e delle competenze, democraticità del merito, ecc) per almeno consentirci di sopravivere in mezzo al guado e non affogare. Non si tratta di inventarsi qualcosa, ma di fare dell’innovazione il driver del nuovo sviluppo, di “copiare” chi ha già fatto e bene e di ritarare l’organizzazione della cosa pubblica. Alla politica spetta tutto ciò. Alla politica di alto profilo. Intanto, tedeschi e americani, russi e cinesi si affrontano per decidere chi comanderà? Chi vivrà, vedrà.

Riccardo Venturini e "La mano complessa"


Con un titolo che risulta subito accattivante grazie alla metafora che impiega, La mano complessa (Pisa, Edizioni ETS, 2011), Claudio Cipollini (tra i maggiori esperti di sviluppo integrato e direttore generale di Retecamere) pubblica un denso volume su condivisione e collaborazione per la gestione dello sviluppo dei territori.
Punto di partenza di questo studio è la consapevolezza che ci troviamo in un periodo di cambiamenti così profondi, radicali, accelerati, nel quale tutti i riferimenti, paradigmi e valori mutano e rendono conoscenze e interventi problematici e incerti. Non ho difficoltà a riconoscere nel nostro tempo uno di quei periodi che K. Jaspers, nella sua filosofia della storia, definiva “periodi assiali”, di grande rivolgimento, per cui non si può non vedere con interesse uno studio che concretizzi, per un settore almeno del nostro tempo, quella intuizione.  
Non conosciamo il presente (conoscere l’oggi è privilegio dei posteri) né il futuro (andiamo, ma la meta non è determinata e si viene definendo col nostro procedere): tuttavia, sulla base di alcuni dati e incontrovertibili constatazioni, Cipollini cerca di individuare un approccio, delineare un itinerario, proporre un metodo, per affrontare lo sviluppo dei territori, ma anche molto di più, ponendo al centro dell’analisi il soggetto in rete, come la formazione più specifica e pregnante del tempo.
Forse si potrebbe differenziare il soggetto-rete dal soggetto in rete o dal soggetto nella rete, ma non è questo il punto. Quello che, a un non addetto a questi lavori pare evidente è che, per quanto sofisticato sia l’approccio proposto, esso appare, comunque, un approccio “tecnico”, il che riapre la domanda sulla natura e sull’essenza della tecnica. «Poiché l’essenza della tecnica non è nulla di tecnico, bisogna che la meditazione essenziale sulla tecnica e il confronto decisivo con essa avvenga in un ambito che da un lato è affine all’essenza della tecnica e, dall’altro ne è tuttavia fondamentalmente distinto» (Heidegger). Cercando di collocandomi in uno di questi possibili ambiti, di fronte a questa pro-vocazione (chi chiama e cosa può pro-durre?) non rimuovo l’interrogativo su quale ethos possa sostenere questo progetto, se quest’ethos possa essere, per così dire, messo tra parentesi o non debba, viceversa, essere posto sul proscenio, interrogandosi non solo sul come fare, ma anche sul perché e cosa fare.
Esemplifico: pur consapevole della originalità dell’attuale individuo-rete, mi vengono alla memoria ricordi di mie esperienze giapponesi in cui mi si parlava di “circoli di qualità”, aperti alla creatività dei lavoratori di un reparto, attraverso i quali, contemporaneamente, si producevano identificazione autorealizzativa, comunicazione, integrazione; oppure dell’attitudine di una impresa nei confronti delle altre, con la finalità non di “distruggere la concorrenza”, come spesso sentiamo dire dalle nostre parti, ma di utilizzarla e aiutarla per fare sistema. Orbene, tutto questo era evidente che fosse reso possibile per il suo riposare su una realtà psicosociale e storico-culturale che non ha conosciuto il cristianesimo, il cogito e il romanticismo, e aveva ben radicato il sentimento dell’unità del un popolo, cementata dal “sistema imperiale”.
Domandiamoci allora cosa potrebbe sostenere, nella nostra incerta realtà sociale, la formazione “soggetto-rete”? Il progetto dovrà necessariamente fare i conti con esempi di “reti” perverse, presenti alla nostra esperienza (da quelli dei totalitarismi del secolo scorso al nostrano “familismo amorale”, a certi sistemi di oggi: pensiamo a quanto ci mostra l’attualità della rete o sistema dei trasporti, dalle navi ai taxi!) per cercare di fugare i brividi che avvertiamo ricordando ciò che Michelstaedter chiamava koinonìa kakòn, le consorterie e le combriccole dei malvagi, quelle da cui l’individuo sente di doversi difendere: in altre parole, la rete sarà al servizio dello sviluppo e dei diritti delle persone? E se riguarderà tutti in che modo riguarderà ciascuno?
Altro interrogativo che riguarda ancora l’ethos del progetto è quello del prezzo che si è chiamati a pagare per il rispetto e la comunicazione (a chi?) della verità (quale?), perché esso non cada nell’errore della autosufficienza totalizzante, ma sia attento a fare i conti con quello che c’è al di fuori della sua cornice, vigile sui possibili confronti, interferenze, integrazioni e collisioni eventuali. Individuate, infatti, alcune delle linee di forza lungo le quali il movimento (autopoietico), senza meta, si viene svolgendo, domandiamoci: l’approccio — una delle forme della modernità — che rapporto potrà avere con quella componente essenziale dell’attuale post- o postpost-modernità che è rappresentata dall’antimodernità? E come si relazionerà con le forme di spiritualità tradizionali (aperte, tuttavia, a una nuova sperata spiritualità del finito) e, in quanto approccio “tecnico”, come si relazionerà con quella culture savante che, in un periodo assiale, sembra da un lato riproporre la figura (antimoderna) dei “compilatori” bizantini, ma dall’altro rimane pur sempre la più valida difesa contro la barbarie? Si potrà andare a una ridefinizione del concetto e della pratica di nuove aristocrazie (nei e coi nuovi media, nei e coi nuovi contesti), superando i pudori del politicamente corretto che rendono impronunciabile questo termine?
Questa proposta mettendo in moto tanti interrogativi dimostra, a un tempo, molta vitalità: aspettiamo con interesse verifiche e risposte che verranno col procedere e, perché no, col cooperare.
Riccardo Venturini