sabato 20 luglio 2013

Ricordando Einstein.....

Qualcuno (!) da quasi un secolo ci ricorda alcuni passi fondamentali per uscire dalla crisi. Uno mi sembra ancora più fondamentale: "la voglia di lottare per superarla". Ma qui ho l'impressione che molti parlano, pochi lottano.

“Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscure. E’ nella crisi che sorgono l’iniziativa, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi se stesso senza essere “superato”. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e da più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di tutti noi, perché senza crisi tutti i venti sono lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.” A. EINSTEIN. Il mondo come lo vedo io. 1931

martedì 2 luglio 2013

CITTA’ SMART E IMPRESE: L’OTTIMISMO DELLA RAGIONE E IL PESSIMISMO DELLA REALTA’

La città, è da sempre, il luogo reale dove si incontrano e scontrano realtà differenti: cittadini, imprese, istituzioni. Realtà diverse e mutevoli accomunate da una sola grande esigenza: vivere e coabitare in uno spazio accogliente e utile. Del resto la civiltà è nata nelle città. Il termine stesso deriva dalla civilitas latina e quindi dal civis, l’abitante delle città. La polis greca, la urbs romana, il comune medievale, sono esempi reali di una evoluzione sistemica degli spazi abitativi. Una realtà mutevole che nei secoli ha modificato radicalmente i propri assetti. Pensare solo che si è passati da 791 milioni di persone nel 1750 a circa 6 miliardi nel 2000 e il trend è in continua crescita (8 miliardi nel 2028 e 10 miliardi nel 2050), dei quali ormai oltre la metà vivono in aree urbanizzate, rende chiara e evidente l’evoluzione in corso e il relativo ruolo delle città. Una realtà mutevole, quindi, che impone una profonda riflessione e uno sguardo attento e critico. Il mio punto di vista è quello di un progettista che da 35 anni lavora quotidianamente per la realizzazione di politiche per lo sviluppo, ma che allo stesso tempo vive nel tessuto cittadino, politico e sociale. Per questo vivo una profonda dicotomia data dall’ottimismo della ragione e dal pessimismo della realtà.
La ragione mi impone di guardare il futuro con ottimismo, credendo in un miglioramento delle città e del tessuto socio - economico, che passa attraverso la sempre maggiore interconnessione delle aree urbane, dove centri cittadini, periferie e territori diventino poli di uno stesso sistema: le foreste urbane. L’impulso dato dalle nuove tecnologie aumenta questo ottimismo. Abbiamo alla nostra portata strumenti che facilitano lo scambio di idee, di progetti, di lavori, che ci aiutano a raggiungere un traguardo di una piena condivisione tra cittadini, co-working tra imprese e corresponsabilità tra le istituzioni. Lo stimolo positivo di Europa 2020, da cogliere, impone agli Stati europei la realizzazione di una crescita intelligente, ovvero basare lo sviluppo economico sulla conoscenza e sull’innovazione, di una crescita sostenibile, mediante un’economia più efficiente, più verde, più competitiva e di una crescita inclusiva, ovvero promuovere un’economica che favorisca l’occupazione e la coesione territoriale.  
Ma il sano ottimismo della ragione si scontra con i dati che la realtà, crudelmente, ci mostra.  Abbiamo un tessuto imprenditoriale in Italia, dato soprattutto da piccole e medie imprese, che colpiti dalla crisi economica globale, hanno perso la capacità di progettare il futuro. Vivono con il solo obiettivo di sopravvivere nel breve, anzi brevissimo periodo.   Abbiamo un sistema produttivo che ha smesso di cooperare e collaborare. Che ha dimenticato – come ricorda Luigino Bruni[1] di essere figlio di quegli artigiani-artisti che hanno portato nel mondo il Made in Italy e reso grandi i nostri distretti. Un sistema che mira solo a difendere le rendite, ovvero posizioni di potere acquisite, come lo stesso governatore della Banca d’Italia ha ricordato lo scorso 31 maggio.  Abbiamo dimenticato il senso del bene comune, il senso della tutela di ciò di cui abbiamo, i motivi per cui vale la pena difendere il nostro territorio.  Abbiamo realtà cittadine che sono poco vicine alle esigenze di chi vi abita. Città con poca mobilità, con tante periferie scollegate e abbandonate, con il problema dello smaltimento dei rifiuti, con una disgregazione sociale che logora dalle fondamenta il senso vero della civitas. Realtà dove le imprese, malgrado ne siano la funzione fondante, sono troppo spesso un sistema a se stante, estraneo nelle politiche, nella programmazione, nella gestione, alla vita urbana.
Per uscire da questo vortice regressivo e da questo “accantonamento” bisognerebbe rompere alcuni tabù, che con il tempo si sono creati e provare a trovare nuove strade per un progresso sostenibile. I tabù sono quelli del digitale, della rete, dell’identità e della qualità, della sostenibilità, della semplificazione e della cultura e innovazione. Sette tabù da trasformare in sette virtù capitali [2].
Ma bisognerebbe, altresì, non cadere nella tecnocrazia nuda e cruda. Non dovremmo lasciarci sopraffare dall’idea che le nuove tecnologie siano la soluzione di tutti i mali. L’innovazione digitale dovrebbe essere contemporaneamente infrastrutturale e culturale, dove la prima non ha senso senza la seconda e viceversa. I dati, su questo, ancora una volta sono poco confortanti. Nel 2013 in Italia il 90% delle imprese ha un pc e la connessione a internet, ma solo l’11% utilizza sistemi di e-government, appena il 3,2% usa internet per l’ecommerce, il 5% attua la promozione dei propri prodotti via social network[3]. Non sono solo le imprese a non cogliere la sfida dell’innovazione digitale ma anche le Pubblica Amministrazione. Retecamere ha condotto un’indagine tra aprile e maggio 2013, dove è stato riscontrato che dei 240 enti pubblici che hanno fornito una risposta, rispetto ai 308 contattati, solo il 47% dispone di impianto di connessione wifi nella propria sede e solo il 34% ne consente l’utilizzo agli ospiti. Nella classifica sulle 132 città innovative al mondo vi sono solo tre città italiane: Milano, Roma e Torino. Tanto per fare una breve comparazione con i nostri “competitors” europei la Francia nel vanta 11 e la Germania 18 [4].  Dati, quindi, che mostrano come nonostante il digitale contribuisca a cambiare il modo di fare politica e il modo di comunicare tra PA e imprese e tra imprese e PA, siamo ancora ad un lento approccio tecnologico, (ovvero il dotarsi di…), senza l’approccio sistemico che il digitale offre. La domanda che non ci si può non porre è quindi: cosa i principali attori delle città, cittadini, imprese e istituzioni, dovrebbero fare per avviare il cambiamento? Bisognerebbe iniziare, innanzitutto, ad avere approcci e sviluppare metodologie sistemiche e non settorializzate. Le politiche pubbliche non possono prescindere dai progetti condivisi e cogenerati dalle diverse istanze sul territorio. Le pubbliche amministrazioni territoriali: Camere di Commercio, Comuni, Provincie e Regioni non dovrebbero correre il rischio di creare azioni senza il partenariato di imprese, cittadini e organizzazioni del terzo settore, oltre che condividendo i rispettivi programmi. Bisognerebbe rieducarsi alla programmazione. L’approccio “alla giornata” non può portare a nulla di buono e di diverso rispetto a quanto realizzato fin’ora. Bisognerebbe riaffermare la cultura telocratica su quella tecnocratica o peggio ancora su quella burocratica, dove il telos sia uno sviluppo imprenditoriale basato sull’impulso positivo anche del digitale. Un’agenda che porti in ogni azienda la cultura digitale, faccia capire che la delocalizzazione dei punti vendita è possibile grazie all’e-commerce, che la diffusione e l’apertura dei dati possa essere leva competitiva per le imprese, che stimoli la diffusione della banda larga per il pieno accesso alla rete con le connesse opportunità. Una agenda che sia linfa vitale per la creazione di smart city a vantaggio di tutti e non solo dei produttori di tecnologie spesso, ma non sempre utili.
Per realizzare tutto questo è possibile tracciare una road map, che vede imprese, Camere di commercio, Pubbliche Amministrazioni e centri di ricerca fare ognuna la propria parte per la concreta e fattiva realizzazione.
Nello specifico le imprese dovrebbero:
1.   accelerare il ricambio generazionale assumendo nativi digitali e le loro competenze naturali, destinando il personale più esperto al tutoraggio della nuova forza lavoro;
2.   adottare soluzioni digitali per la gestione dei processi aziendali, dai più semplici (protocollo, posta elettronica certificata, firma digitale) alla fatturazione elettronica e all’Enterprise Resource Planning per la gestione dell’impresa;
3.   adottare cicli di formazione volti all’innovazione con una cadenza minima annuale;
4.   accettare il rischio di investire nel digitale.

Le Camere di commercio dovrebbero:
1.    stimolare nuove imprese proponendo opportunità ai giovani, ma non solo, di aprire startup per mettere in pratica le proprie idee, i prodotti locali, le proprie esperienze creative, sfruttando le potenzialità offerte dall’ecommerce;
2.    accompagnare le piccole e medie imprese nei processi di delocalizzazione delle vendite mediante le piattaforme di ebusiness;
3.    promuovere la cultura digitale delle micro e piccole imprese;
4.    aprire e rendere fruibili i propri dati sia socio-economici, sia del registro imprese (peraltro già di fatto open);
5.    promuovere l’incontro tra la domanda e l’offerta di innovazione sul territorio, al fine di evitare la “fuga di cervelli creativi”.

I Comuni e le altre istituzioni a carattere locale dovrebbero:
1.   garantire la piena funzionalità degli sportelli unici per le attività produttive;
2.   automatizzare i servizi transattivi (ad esempio la concessione di licenze), spersonalizzando ed efficientando il rapporto con le imprese;
3.   creare infrastrutture per la mobilità e la banda larga, mediante coworking con privati e altre pubbliche amministrazioni e offrire una piena disponibilità di connessione alla rete grazie al wifi, creando spazi pubblici attrezzati (piazze, giardini pubblici, fermate di autobus o metropolitane, ecc.);
4.   realizzare nei punti strategici delle città dei chioschi digitali al pieno servizio della cittadinanza e dei turisti;
5.   predisporre piani regolatori ascoltando e condividendo le esigenze delle imprese e delle organizzazioni no profit, oltre alle altre pubbliche amministrazioni.

Le Università e i centri di ricerca dovrebbero:
1.   Accentuare le relazioni con le imprese e creare programmi efficaci di gestione tra domanda e offerta lavorativa.

Tutti, dico tutti, dovrebbero accettare di fare un passo indietro perdendo un po' di autonomia, per farne due avanti attraverso la condivisione dei programmi e degli obiettivi e individuando le responsabilità, le priorità, i tempi e i costi. Il tutto attraverso un Patto di Condivisione pubblico, trasparente con il quale rispondere ai cittadini tutti. Questa la tabella di marcia che gli attori della città dovrebbero rispettare per il raggiungimento di quella ottimistica visione data dalla ragione, ma come dovrebbe “rispondere” la città a queste politiche? Come si può realizzare una trasformazione positiva in spazi urbani abili e soprattutto sensibili?  Diventando consapevoli tutti – incominciando dalla classe dirigente - che una foresta urbana non è perfettibile, ma migliorabile, non con manuali e vademecum[5] omnicomprensivi, ma con una “cassetta degli attrezzi” che consenta di governare al meglio i processi della programmazione, realizzazione e gestione delle politiche e degli interventi. Un approccio innovativo che abbia almeno nella identità del futuro, sistematicità, sostenibilità e sperimentazione alcuni dei punti di riferimento di base [6].



[1] BRUNI L. “Le nuove virtù del mercato nell’era dei beni comuni” Città Nuova Editrice. Roma. 2012
[2] Cipollini C. “Una crisi per un progresso sconosciuto. Artigiani e imprenditori di fronte al cambiamento” in Quaderni di Ricerca sull’artigianato. N.62/2012
[3] Ricerca Retecamere CATI su 1.000 imprese Giugno 2013
[4] Australian Innovation Agency -2 think now –  7th Annual Innovation Cities Index 2012-2013
[5] Cipollini C. (2011) “La mano complessa. Condivisione e collaborazione per lo sviluppo dei territori “. ETS Edizioni. Pisa. 2011
[6] Vedi gli interventi su you tube http://www.youtube.com/user/AssociazioItalia2020/ svolti nel Convegno Internazionale: La città senza nome. Le Foreste Urbane MAXXI – novembre 2012