Pochi
anni or sono (cinque per l’esattezza - 2011) scrissi con l’amico Christian
Rinaldi un libro sul tema dell’innovazione ( “L’innovazione integrata. Imprese
e amministrazione pubblica: nuovi paradigmi digitali per un progresso sostenibile”
- https://www.facebook.com/innovazioneIntegrata/?fref=ts),
con l’intento di portare un piccolo contributo su un grande tema che a nostro
avviso era uno di quelli cruciali nell’ambito delle politiche di sviluppo sia
della pubblica amministrazione sia delle imprese specie medie e piccole. Lo
affrontammo con un accento particolare alle competenze e alla cultura digitale
vista come porta di accesso all’innovazione vedendo in una politica integrata
tra PA e imprese e tra infrastrutture (la banda larga, ma non solo) e
“alfabetizzazione” (parola bruttissima!) la strada per accelerare un processo
di adeguamento prima (eravamo tra gli ultimi in Europa) e di sviluppo poi. Nel 2013 partecipai a un convegno a Perugia (Umbria
Digitale) al quale erano presenti molti dei massimi esponenti del digitale
italiano, dove sostenni la tesi che era ormai ora di smetterla di riunirsi tra
addetti ai lavori lamentando carenze e risorse, ma invece occorreva
“evangelizzare” i non addetti ai lavori
e addetti alle policy e alle risorse e coloro che ignoravano i vantaggi del
digitale e dell’innovazione (imprenditori e dirigenti e funzionari pubblici),
ricordando che molti degli attori e protagonisti del nefasto stato dell’arte
erano seduti in quella sala. Fischi e
applausi conclusero il mio intervento, ma questo fu il minimo. Qualcuno
protestò vivacemente nelle “sedi opportune” segnalandomi come pseudo
–rivoluzionario con intenti terroristici e distruttivi (il che era in parte
anche vero vista la situazione).
Poche
settimane or sono (2016) l’Unione Europea ha reso nota la "situazione
digitale" 2015 che risulta drammatica. Il 33% di noi non usa ancora Internet,
il 57% non ha le competenze di base, ultimi in Europa per la propensione
all'uso di internet. Insomma il tappo per l'innovazione e lo sviluppo è rimasto
dov’era.
A questo punto inizio a pensare seriamente che più che di INNOVAZIONE
INTEGRATA dovremmo affrontare il tema dell’INNOVAZIONE NEGATA. In Italia l’innovazione è bloccata da decenni
dai sistemi di potere che si sono instaurati a partire dalla metà degli anni 90
nei principali nodi nevralgici pubblici e privati. Una testimonianza per tutte
la troviamo nell’ambito delle 190 regioni dell’Europa, dove solo l’Emilia
Romagna e il Piemonte sono classificate come «inseguitrici», mentre nessuna è
definita «leader» . Tutte le altre hanno “capacità innovativa ridotta”.
Ma allora mi viene da pensare che non è solo un problema di ignoranza
culturale, ma di volontà conservatrice, di voglia di lasciare le cose come
stanno e non cambiare nulla. Le ultime testimonianza purtroppo lo confermano.
(Dove sono gli interventi sull’alfabetizzazione digitale? Dov’è il wifi per
tutti? Quante imprese italiane vincono i bandi per Horizon 2020? Che innovazioni
ci sono nel settore della mobilità sostenibile e integrata? Quante reti d’impresa
ci sono che funzionano? Quante imprese in più esportano? Quanti investimenti esteri nel Mezzogiorno? ecc. ecc.). E se siamo
riusciti a spendere tutti i Fondi Strutturali 2007-2013 lo dobbiamo a una sorta
di blitz o golpe da parte del Governo che in poco più di due anni ha fatto
spendere l’85% delle risorse. E speriamo che ci saranno i benefici e i risultati
adeguati agli investimenti fatti.
E allora? Sinceramente non lo so. Forse l’unica osservazione che mi viene
da fare riguarda le persone (uomini e donne) che occupano e che dovrebbero
occupare le posizioni adatte a spingere e gestire il cambiamento e l’innovazione.
Troppi ancora le prime e poche, troppo poche le seconde. Speriamo che non sia
troppo…tardi.