E’ indispensabile un approccio
sistemico per organizzare il lavoro specie nelle organizzazioni di servizi, sia
pubbliche sia private e soprattutto nell’amministrazione pubblica. Ma la cosa
non sempre e ancora non dovunque avviene. La rete di relazioni tra i soggetti
(settoriali-disciplinari o territoriali o funzionali che sia) deve tendere a costituire un sistema che si
adatti alle circostanze – e direi anche ai caratteri dei soggetti – sempre con
l’obiettivo di definire prima e realizzare poi un intervento in forma unica. Un
sistema caratterizzato, dunque, da “scambiatori” con ruoli e funzioni specialistici,
consci delle funzioni e delle responsabilità degli altri “scambiatori”,
consapevoli della valenza e della responsabilità della propria funzione, ma
solo e unicamente in quanto funzione di volta in volta interrelata con una o
più delle altre funzioni attraverso la rete del sistema stesso. A questo proposito
è utile richiamare l’intervento di Alberto De Toni in riferimento alla complessità
del management. In particolare, mettendo a confronto i modelli manageriali
classico e complesso (in figura), De Toni sottolinea:
Il modello classico prevede che l’organizzazione sia semplice, in un
ambiente stabile e in un futuro prevedibile sulla base di proiezioni di serie
storiche. Il successo si ottiene in queste condizioni tramite equilibrio e
stabilità. Il modello complesso si basa invece sull’idea che l’organizzazione
sia un sistema complesso adattivo, in un ambiente turbolento e in un futuro
prevedibile solo in parte grazie allo studio dei megatrend. In questa
situazione il successo deriva dal non-equilibrio e dal cambiamento, come la
sopravvivenza nei sistemi complessi adattivi.(.........) In una prospettiva di autorganizzazione, i singoli elementi contribuiscono
all’assorbimento della complessità tramite un processo bottom-up. Le singole persone, con i loro vari ruoli, acquistano
sempre più importanza e spesso dimostrano di avere la capacità di una maggiore
comprensione della variabilità esterna [...]. Il cambiamento di paradigma
organizzativo da una mente a molte menti procede verso una comprensione sempre
maggiore della complessità.-(2010, p. 81)
Modello manageriale
classico e complesso a confronto Fonte: De Toni (2010, p. 82)
È evidente come il modello
classico in realtà non sia sbagliato e comunque si adatti perfettamente a
organizzazioni – o a suborganizzazioni – che gestiscono attività stabili,
semplici e che non necessitano di cambiamenti repentini: penso al servizio di
sorveglianza di un edificio o al servizio fornito dall’autista di una società
di trasporti pubblici su gomma. La realtà è che il modello tradizionale è insufficiente,
come sostiene Savage (2009, p. 247): «Quando
il futuro è come il passato ha senso organizzare attraverso la routine. Ma
quando sfere rotonde, inaspettate armonie e caleidoscopici cambiamenti tecnologici
sono all’ordine del giorno, è necessario attuare una strategia per la
complessità e la varietà»
La tendenza verso
l’autorganizzazione, dunque, diventa sempre più forte anche per le
organizzazioni che si occupano in particolar modo dello sviluppo sociale e
economico. Un’autorganizzazione in cui l’aspetto fondamentale è la capacità di
responsabilizzarsi nel proprio ruolo e di collaborare con i ruoli altrui: ciò che
conta è non solo e non tanto il tipo di organizzazione (ministero, impresa,
ecc.) e le modalità di funzionamento, ma “chi risponde a chi”.
Non si tratta di lasciare
libertà assoluta, ma di favorire un contesto in cui possa nascere
l’auto-organizzazione: «L’auto-organizzazione
non significa team autogestiti, o empowerment,
o organizzazione piatta. Non è un laissez-faire
management. Significa impegnarsi nel guidare l’evoluzione dei
comportamenti e delle interazioni invece che specificare comportamenti
effettivi in anticipo» (Olson, Eoyang, 2001, p. 161).
Il modo pratico perché gli
elementi del sistema impresa cooperino e competano è favorirne la
partecipazione
In questo contesto è utile,
se non indispensabile, ripensare i modelli di governance che attualmente
gestiscono i processi di ideazione e attuazione degli interventi per lo
sviluppo, adattandoli adeguatamente e specificamente alla realtà circostante.
Stan Davis e Christopher Meyer (1999, p. 105), rispettivamente direttore e ricercatore
del Center for Businness Innovation della Ernst & Young, ricordano a tale
proposito come un’«organizzazione adattiva»
“significa che la ragnatela organizzativa deve funzionare come una
ragnatela economica. L’attività economica obbedisce sempre alle stesse regole,
sia che si tratti di un sistema economico, di un’azienda, di un singolo
individuo. Blur è segmentabile.
In secondo luogo, le conoscenze sui sistemi adattivi possono essere applicate
anche alle organizzazioni. Prendete per esempio il concetto di varietà: vale la
pena rinunciare in una certa misura all’efficienza per garantire quella
diversità di pensiero che alimenta l’innovazione. Anche la permeabilizzazione dei confini favorisce
il fiorire di nuove idee e un’organizzazione paradossalmente è più robusta se è
instabile, al “limite del caos”. In terzo luogo, due strategie per creare
adattività sono le seguenti: essere al tempo stesso “piccoli” e “grandi” e
creare un benefico rimescolamento all’interno dell’organizzazione.
In questo scenario specie
la Pubblica Ammnistrazione deve incrementare notevolmente i propri livelli di
responsabilizzazione delle persone coinvolte, così come la loro collaborazione
interfunzionale; gli interventi e le azioni definite devono accentuare
l’interdisciplinarietà su livelli orizzontali.
“Molte saranno le resistenze, e probabilmente non tutte le
organizzazioni saranno auto-organizzazioni. Quello che ci sentiamo di affermare
è che tutte vivranno la necessità di un’apertura ai contributi bottom-up. È
necessario perché là fuori c’è una rete che corre a una velocità mai vista
prima. Oggi in un mercato frenetico e a tecnologia sempre più avanzata,
l’immaginazione è il valore aggiunto delle organizzazioni di successo. È
necessario dare spazio a quanti liberano fantasia e creatività per immaginare e
costruire un domani non prevedibile. Per gli uomini e per le organizzazioni il
futuro appartiene a chi sa immaginarlo” (De Toni, 2010, p. 95).
Cipollini C. (2011), La mano complessa. Condivisione e collaborazione per la gestione dello sviluppo dei territori, ETS Edizioni, Pisa
DAVIS S., MEYER C. (1999), Blur. Le zone indistinte dell’economia interconnessa, Olivares, Milano.
DE TONI A.F. (2010), Teoria della complessità e implicazioni manageriali. Verso l’autorganizzazione, in “Sinergie”, 81, gennaio-aprile.
OLSON E.E., EOYANG G.H. (2001), Facilitating organization change. Lessons from
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SAVAGE C.M. (2009), 5th generation management. Co-creating through virtual enterprising, dynamic teaming, and knowledge networking, Butterworth-Heinemann,
Boston (rev. ed.).