venerdì 18 marzo 2016

L’INNOVAZIONE NEGATA

Pochi anni or sono (cinque per l’esattezza - 2011) scrissi con l’amico Christian Rinaldi un libro sul tema dell’innovazione ( “L’innovazione integrata. Imprese e amministrazione pubblica: nuovi paradigmi digitali per un progresso sostenibile” - https://www.facebook.com/innovazioneIntegrata/?fref=ts), con l’intento di portare un piccolo contributo su un grande tema che a nostro avviso era uno di quelli cruciali nell’ambito delle politiche di sviluppo sia della pubblica amministrazione sia delle imprese specie medie e piccole. Lo affrontammo con un accento particolare alle competenze e alla cultura digitale vista come porta di accesso all’innovazione vedendo in una politica integrata tra PA e imprese e tra infrastrutture (la banda larga, ma non solo) e “alfabetizzazione” (parola bruttissima!) la strada per accelerare un processo di adeguamento prima (eravamo tra gli ultimi in Europa) e di sviluppo poi.  Nel 2013 partecipai a un convegno a Perugia (Umbria Digitale) al quale erano presenti molti dei massimi esponenti del digitale italiano, dove sostenni la tesi che era ormai ora di smetterla di riunirsi tra addetti ai lavori lamentando carenze e risorse, ma invece occorreva “evangelizzare”  i non addetti ai lavori e addetti alle policy e alle risorse e coloro che ignoravano i vantaggi del digitale e dell’innovazione (imprenditori e dirigenti e funzionari pubblici), ricordando che molti degli attori e protagonisti del nefasto stato dell’arte erano seduti in quella sala.  Fischi e applausi conclusero il mio intervento, ma questo fu il minimo. Qualcuno protestò vivacemente nelle “sedi opportune” segnalandomi come pseudo –rivoluzionario con intenti terroristici e distruttivi (il che era in parte anche vero vista la situazione).
Poche settimane or sono (2016) l’Unione Europea ha reso nota la "situazione digitale" 2015 che risulta drammatica. Il 33% di noi non usa ancora Internet, il 57% non ha le competenze di base, ultimi in Europa per la propensione all'uso di internet. Insomma il tappo per l'innovazione e lo sviluppo è rimasto dov’era.

A questo punto inizio a pensare seriamente che più che di INNOVAZIONE INTEGRATA dovremmo affrontare il tema dell’INNOVAZIONE NEGATA.  In Italia l’innovazione è bloccata da decenni dai sistemi di potere che si sono instaurati a partire dalla metà degli anni 90 nei principali nodi nevralgici pubblici e privati. Una testimonianza per tutte la troviamo nell’ambito delle 190 regioni dell’Europa, dove solo l’Emilia Romagna e il Piemonte sono classificate come «inseguitrici», mentre nessuna è definita «leader» . Tutte le altre hanno “capacità innovativa ridotta”.
Ma allora mi viene da pensare che non è solo un problema di ignoranza culturale, ma di volontà conservatrice, di voglia di lasciare le cose come stanno e non cambiare nulla. Le ultime testimonianza purtroppo lo confermano. (Dove sono gli interventi sull’alfabetizzazione digitale? Dov’è il wifi per tutti? Quante imprese italiane vincono i bandi per Horizon 2020? Che innovazioni ci sono nel settore della mobilità sostenibile e integrata? Quante reti d’impresa ci sono che funzionano? Quante imprese in più esportano? Quanti investimenti esteri nel Mezzogiorno? ecc. ecc.). E se siamo riusciti a spendere tutti i Fondi Strutturali 2007-2013 lo dobbiamo a una sorta di blitz o golpe da parte del Governo che in poco più di due anni ha fatto spendere l’85% delle risorse. E speriamo che ci saranno i benefici e i risultati adeguati agli investimenti fatti.

E allora? Sinceramente non lo so. Forse l’unica osservazione che mi viene da fare riguarda le persone (uomini e donne) che occupano e che dovrebbero occupare le posizioni adatte a spingere e gestire il cambiamento e l’innovazione. Troppi ancora le prime e poche, troppo poche le seconde. Speriamo che non sia troppo…tardi.

giovedì 14 gennaio 2016

MASTERPLAN DEL MEZZOGIORNO: UN’OPPORTUNITA’ PER I TERRITORI




A cura di Claudio Cipollini


Il Governo ha pubblicato lo scorso novembre le Linee Guida per il Masterplan per il Mezzogiorno. Nel documento, pur nella sua brevità, ci sono input chiari, da rendere esecutivi e operativi e grandi opportunità sia generali sia specifiche. Si tratta solo di aspettarne i tempi, legati molto anche agli accordi con le Regioni e le Aree Metropolitane che saranno pronti entro dicembre di quest’anno. Nella presentazione del Masterplan si parla espressamente di “un’introduzione aperta ai contributi che verranno da tutti coloro che vogliono scrivere con noi una pagina nuova per il Mezzogiorno d’Italia. Insieme la volontà dichiarata dal Governo di voler portare avanti “un progetto che non cala dall’alto le soluzioni ma fa leva sulle capacità e sulla voglia di mettersi in gioco dei cittadini e delle istituzioni meridionali”.
Per questo URBANISTICA INFORMAZIONI ha previsto una sezione nella quale ha raccolto una prima serie di contributi settoriali e di riflessioni che provengono dalle sezioni INU della Calabria e della Sicilia. L’obiettivo è di costruire un quadro complessivo, da "consegnare" come contributo dell’INU al Masterplan per il Mezzogiorno. 
In particolare di seguito trovate una serie di contributi legati da un “filo rosso” che è quello che tesse e cuce le condizioni alla base di un qualsiasi obiettivo di sviluppo: la visione politica (Gianni Pittella), la pianificazione strategico-manageriale (il sottoscritto), la mobilità (Francesca Moraci), il digitale (Del Pino) e la classe dirigente (Cinzia Rossi). Insieme due contributi regionali, uno che racconta l’esperienza e la valenza della rinascita dei centri storici in Calabria e l’altro che si focalizza sulle prospettive regionali in Sicilia.
Ne esce un primo quadro della situazione che conferma e rimarca l’importanza e la necessità di avere una vision politica per poter operare bene. Il nostro occhio e la lente con cui osserviamo ciò che accade devono saper guardare oltre, devono avere capacità di interpretare le direzioni di marcia che storia, cultura, geopolitica e geo economia ci indicano inequivocabilmente.

 Una vision (prevista nei Patti con le Regioni e le Aree Metropolitane dal Masterplan pur se focalizzata sugli interventi) che dovrebbe però essere più partecipata e condivisa tra gli attori (imprese, imprese sociali, pubblica amministrazione e cittadini) anche per dare un contributo a una maggiore coesione sociale. Per farlo indispensabile operare da subito e con urgenza per ridefinire le cosi dette condizioni di base quali una mobilità adeguata agli obiettivi di sviluppo con un solido piano per le infrastrutture e una riforma urbanistica che riallinei le leggi urbanistiche regionali su principi e tempi comuni e costruisca una coerenza programmatica. Insieme maggiori competenze digitali, porta per fare innovazione  a tutto tondo.  Tutto fattibile in teoria se però si riesce a dotarsi di una governance adeguata agli obiettivi e ad avere una classe dirigente coraggiosa e culturalmente innovativa.

venerdì 18 dicembre 2015

SCUSATE IL RITARDO. UNA PROPOSTA PER IL MEZZOGIORNO D'EUROPA.....E 11 PROGETTI STRATEGICI




Finalmente posso avere il piacere di informare che è uscito il libro "Scusate il ritardo.Una proposta per il Mezzogiorno d'Europa" al quale ho dedicato con passione un pò del mio tempo nei mesi scorsi collaborando con Gianni Pittella (che ringrazio in particolare per l'opportunità e la fiducia) e Amedeo Lepore, per il coordinamento degli 11 progetti presentati. Con la prefazione di Matteo Renzi, il volume - edito da Donzelli - vuole essere un contributo sul tema del Mezzogiorno particolarmente "caldo" in questa fase di rilancio dell'Italia. Potrete comprenderne le motivazioni e tanto più i contenuti leggendolo.
Nel volume il tema si è preso di petto il problema e vi sono tra l’altro offerti undici progetti su cui si metterà alla prova l’autenticità dei questi segnali di cambiamento. Altri se ne possono e devono aggiungerne.
Sono proposte operative che chiamano la pubblica amministrazione e le imprese (che sappiamo essere per la grande maggioranza piccole e medie) a prendersi le loro responsabilità, possibilmente e auspicabilmente condividendole prima con un approccio collaborativo, consapevoli ognuno dei propri ruoli. Sono progetti che hanno l’obiettivo di dare lavoro ai giovani, alle donne e agli uomini del Sud e del Nord e non solo. Certo per realizzarli ci vogliono coraggio e capacità d’innovazione. C’è il tema dei beni confiscati alle mafie che possono divenire un volano di innovazione e sviluppo, c’è il tema, ormai ineludibile, di elevare significatamente le competenze digitali degli imprenditori e dei lavoratori, oltre che delle famiglie, per entrare – insieme con un’adeguata banda larga -  dalla porta principale dell’innovazione dell’industria, dell’artigianato, del commercio, dell’agricoltura, del turismo; c’è quello della mobilità e delle infrastrutture per consentire finalmente quello scambio di merci e di persone vitali per lo sviluppo. Serve poi la politica industriale che il Governo sta varando e che per il Sud – come delinea il Masterplan “deve partire dai punti di forza del tessuto economico meridionale per valorizzarne le capacità di diffusione di imprenditorialità e di competenze lavorative e per promuovere l’attivazione di filiere produttive autonomamente vitali.” Occorre porre poi una forte enfasi per un deciso miglioramento della governance, con il principale obiettivo di ridare certezza di risorse e tempistiche, soprattutto consentire di riacquistare spazi genuini per la società civile al di fuori di processi mediatori che hanno finito per impantanare gli interventi imbrigliandoli in proceduralismi bizantini.
Ma non basta: c’è da investire nel turismo, nell’agricoltura di qualità, nelle Zone Economiche Speciali, così come sulle energie alternative, convincendo e convincendosi che una delle frontiere da raggiungere presto è quella di lavorare in rete tra le piccole e medie imprese. La competizione globale richiede questo, insieme a una continua innovazione nelle tecnologie e nei processi lavorativi. Alla base due tematiche chiave: la coesione sociale e la cultura. Collanti indispensabili per valorizzare e consolidare la spinta delle comunità e tracciare traguardi possibili nel medio –lungo periodo.

martedì 27 ottobre 2015

MEZZOGIORNO, SVILUPPO E SVIMEZ: QUALCOSA NON TORNA


Attento e circostanziato (più di 800 pagine) il Rapporto 2015  della SVIMEZ, presentato oggi alla Camera dei Deputati, nella sua analisi molte delle criticità che affliggono i territori meridionali e  tre temi principali su cui far leva per creare sviluppo: logistica economica, energia e città insieme con una sorta di piano strategico, ma solo industriale.
Quello che non ho trovato è invece una vision politico-strategica complessiva di tutto il Sud, che proprio a causa della sua attuale situazione – di fatto una seconda Italia – ha invece l’opportunità per disegnare con tutti gli attori (giovani, ma più di testa che non di età) imprese, pubblica amministrazione e imprese sociali, l’obiettivo cui tendere e da raggiungere nei prossimi 5-10 anni.
Su questo tema penso che occorra avviare un processo di proposta, confronto e quindi decisione che nasca dalle esigenze e dalle caratteristiche endogene dei territori e delle persone senza imporre modelli di sviluppo “stranieri” e “burocratico-meccanicistici”, fermo restando la responsabilità di ognuno a svolgere i proprio ruolo con etica e professionalità.

Un Sud dove sia assicurata la mobilità (e non le infrastrutture fini a se stesse) delle persone , delle merci e dei dati; l’industria, l’agroalimentare e il turismo (che nel Rapporto della Svimez si è perso) siano i mezzi per un benessere sostenibile ambientalmente, socialmente e economicamente integrati con il volontariato e le imprese sociali. Un Sud governato in questa fase critica storica con modalità innovative che vedano un approccio integrato tra Stato, Regioni e Enti Locali più focalizzato e quindi organizzato per la risoluzione delle problematiche e del raggiungimento dell’obiettivo generale che non sulla spartizione di deleghe, funzioni e competenze. 

domenica 25 ottobre 2015

AREE METROPOLITANE , OPPORTUNITA' DI INNOVAZIONE PER IL PAESE

Allego il mio intervento sul tema .



E' un tema caldo in questi mesi e per i prossimi anni, dove molti temi rimangono legati al nodo della governance e dell'organizzazione adeguata a gestire e sviluppare i servizi che il Comune dovrebbe fornire ai cittadini. In ancora troppe città l'efficienza e l'efficacia delle azioni comunali stenta a adeguarsi a un obiettivo che dovrebbe solo riguardare il bene comune e il benessere delle persone basati su una sostenibilità economica, sociale e ambientale come concordato con Europa 2020. Interferenze eccessive di una politica che solo ora da segnali di rinnovamento, ma che negli ultimi venti anni è degenarata troppo, accanto a incompetenze manageriali e professionali (spesso figlie della politica di cui sopra) non hanno portato nessuna innovazione, ma solo conservazione dello status quo e della tradizione di trattare il cittadino come suddito e non come proprietario. Ma la piramide si sta rovesciando .......
Partecipazione e condivisione, mobilità (fisica delle persone e delle merci e virtuale dei dati ) sono una priorità imprescindibile insieme a una attenzione decisiva per il Mezzogiorno.




mercoledì 14 ottobre 2015

L'ARTE DEL GOVERNO


Raccomanda un antico testo cinese,  scritto tra il 400 e il 320 a.c. e i cui punti sono più che attuali, che prima di affrontare affari di vita e morte occorre confrontarsi con cinque i punti e una conseguente serie di valutazioni per indagare la realtà dei fatti :

  1. DAO: ovvero far si che il popolo e i superiori abbiano medesimi intenti;
  2. CIELO: che indica lo yin e lo yang
  3. TERRA:ovvero lontananza e vicinanza, facilità e difficoltà di movimento....
  4. COMANDO: che indica le virtù dei superiori:conoscenza, sincerità, umanità, coraggio e severità
  5. REGOLA: che indica organizzazione, assegnazione dei ruoli....gestione logistica
P.S. L'autore è SUN TZU e il titolo è "L'ARTE DELLA GUERRA".

martedì 13 ottobre 2015

INNOVARE E' PROGRESSO (*)




Il mondo si sta muovendo con sempre maggiore dinamismo. Le recenti crisi economiche, ecologiche e sociali ci spingono a cercare nuovi modi di pensare e agire. Creatività e innovazione possono spingere la società verso la prosperità, ma è necessario farne un uso responsabile. Per rimanere in prima linea, l’Italia ha bisogno di essere più creativa e innovativa. Essere creativi vuol dire saper immaginare qualcosa che non esiste, cercare nuove soluzioni e nuove forme, disegnando attività, prodotti e servizi. La creatività è una dimensione fondamentale dell’attività umana. La creatività costituisce il cuore della cultura e dell’innovazione, ma deve essere garantito a tutti di coltivare il proprio talento creativo (e di tutelarlo legalmente). Come dimostra la storia industriale del nostro Paese, ora più che mai il futuro dell’Italia dipende dalla creatività e dall’immaginazione delle persone che sanno disegnare nuovi percorsi per il futuro.
La parola “innovazione” è principalmente legata al cambiamento attraverso la creatività. Nella maggior parte dei casi questo legame assume accezioni positive; nell’immaginario collettivo l’innovazione è qualcosa che può migliorare la vita nel futuro, e si correla a concetti come scienza, conoscenza e sapere creando rottura con il presente e il passato, “mitigando” – fosse solo sotto il profilo meramente psicologico – le paure che caratterizzano la vita moderna. Questo processo sociologico rende l’innovazione intrinsecamente e intimamente legata al cambio di paradigma del progresso umano, quasi diventandone il catalizzatore.
Il quadro della tecnica e della progettualità disegnato nei capitoli precedenti ipotizza scenari concreti per variare il come e dove l’essere cittadino o impresa impegna (spreca) il proprio tempo di vita. Maggiore crescita potrebbe oggi essere meglio intesa come maggiore competizione sinergica che non maggiore competizione antagonista (tra imprese e cittadini, tra imprese e imprese, tra cittadini e imprese, nel promuovere e nell’ottenere il rispetto dei propri diritti).
Da molti anni, in Italia, si parla di educazione dei giovani all’innovazione, in linea con le politiche adottate dagli altri paesi, come Svezia, Singapore, Stati Uniti, Finlandia, Svizzera, Corea del Sud, Islanda. Nella propensione all’innovazione, infatti, si rilevano differenze geografiche e territoriali: in alcuni paesi o aree urbane si cerca di orientare gli individui verso comportamenti favorevoli alla creazione di attività di innovazione, in altri molto meno. In alcune aree del mondo, anche dove l’ecosistema statale è poco propenso all’innovazione, esistono radici culturali popolari di fortissimo orientamento alla creatività e all’innovazione stessa. Spesso, queste aree sono ad altissima contaminazione e fertilizzazione crossculturale (molti immigrati che portano le loro culture e generano nuovi business, nuovi prodotti, nuovi servizi) (Florida, 2003).
Di qui la necessità, individuata da alcuni studiosi e policy maker, di indirizzare gli strumenti educativi verso la promozione dell’innovazione e della creatività proprio nei contesti meno propensi al cambiamento e in aree apparentemente “povere” per la forte presenza di immigrazione.
Le modalità per educare all’innovazione sono diverse; la tendenza generale è di intervenire nei programmi scolastici e universitari, promuovendo cultura scientifica, tecnologica e di business. Tale tendenza, però, tralascia di considerare le caratteristiche delle diverse fasi cognitive degli individui: è nell’età infantile, infatti, che si è più propensi all’innovazione e alla creatività, e quindi sarebbe opportuno intervenire con programmi ad hoc fin dall’infanzia. Proprio in questo campo si comincia a scorgere qualche spiraglio di sperimentazione sin dalle scuole materne e primarie di percorsi di stimolo alla creatività e all’innovazione, di nuove metodologie, di nuovi strumenti educativi come tablet pc, di attrezzatura scientifica e di metodologie ad alto tasso di creatività e sensibilità al mondo reale. Purtroppo il sistema educativo pubblico, dopo gli anni recenti di riforme al ribasso, è lontano anni luce da questo approccio.
Inoltre, non sempre è vantaggioso promuovere esclusivamente programmi riguardanti la conoscenza tecnico-scientifica ed economico-gestionale; sarebbe invece auspicabile intervenire sull’alfabetizzazione tecnologica e strumentale in termini non solo di utilizzo, ma anche di reali vantaggi e benefici nei vari campi di applicazione e soprattutto nel tessuto imprenditoriale. In altre parole, banalizzando il concetto, cittadini e imprese “meritano” che uno Stato insegni loro sia a usare uno stetoscopio sia a costruirne uno e a venderlo, ancor meglio a crearne una variante che sia un nuovo prodotto che fornisce migliori risultati e apre un nuovo mercato.
Una proposta educativa che rilanci la capacità di innovare in questo Paese, dunque, dovrebbe comprendere non solo gli aspetti contenutistici, ma anche e soprattutto modelli innovativi, sviluppando anche fattori emozionali e valoriali dell’innovazione stessa, spaziando dalla scienza alla cultura altrui. L’impresa imparerà a capitalizzare su conoscenze acquisite da scienza e cultura, con le quali avrà costruito un rapporto costante e diretto attraverso le proprie risorse umane educate con i nuovi modelli “aperti” e grazie a un rapporto di trasferimento diretto da e verso scienza e cultura.
Questo metodo che parte dall’educazione aiuta a bypassare un elemento frenante sino a oggi. Il sistema economico-finanziario ha una scarsa propensione al cambiamento. Ciò è vero a livello mondiale – fatta eccezione per qualche “avventurosa” nazione come l’Islanda in cui il popolo si è preso la responsabilità di decidere su questo argomento – visto che nonostante crisi perduranti si persevera nei vizi della finanza invece di cambiare i suoi paradigmi.
Lo spirito imprenditoriale, per sua natura intrinseca, deve creare il “nuovo”, l’attitudine all’innovazione non è adeguatamente coltivata e non è riconosciuta come valore poiché i piccoli imprenditori hanno difficoltà e resistenze “culturali” ad affrontare le nuove sfide dei mercati e non riescono ad andare oltre le loro visioni tradizionali in termini di business e di prodotto. La realtà italiana soffre ancor più di questo fattore laddove la politica ha falsato lo sviluppo d’impresa attraverso clientelismi e favoritismi che hanno spento la capacità di competere delle PMI. Voler avere vita facile in un ambiente competitivo è azione suicida, lo dicono le leggi fondamentali dell’evoluzione naturale.
Alcune PMI italiane non sembrano possedere strategie definite per l’innovazione perché mancano di una tradizione e di una cultura volte all’innovazione. Una piccola impresa nata per fare body rental di personale paramedico per una struttura ospedaliera pubblica che segue gli input del politico di turno che promette di far fare outsourcing ha ovviamente poco interesse e poca voglia di innovare, competere, crescere in maniera sana e sostenibile. Fortunatamente, invece, molte aziende nascono e crescono con un imprinting esclusivamente innovatore. Ci appare quindi sintomatica la visione a breve termine propria delle PMI, per cui si rincorre il miraggio delle opportunità a breve termine, perdendo di vista gli effetti negativi sul lungo e medio periodo. La stessa percezione e accezione dell’innovazione nelle PMI è alquanto variegata. Dall’innovazione come driver di tutta l’attività d’impresa alla mera informatizzazione, come rivelano studi e analisi sul tasso d’innovazione delle PMI rispetto alla diffusione al loro interno delle TIC.

(*) Estratto da L'INNOVAZIONE INTEGRATA di C. Cipollini e N.C. Rinaldi. Ed. Maggioli - Rimini -2012