venerdì 18 dicembre 2015

SCUSATE IL RITARDO. UNA PROPOSTA PER IL MEZZOGIORNO D'EUROPA.....E 11 PROGETTI STRATEGICI




Finalmente posso avere il piacere di informare che è uscito il libro "Scusate il ritardo.Una proposta per il Mezzogiorno d'Europa" al quale ho dedicato con passione un pò del mio tempo nei mesi scorsi collaborando con Gianni Pittella (che ringrazio in particolare per l'opportunità e la fiducia) e Amedeo Lepore, per il coordinamento degli 11 progetti presentati. Con la prefazione di Matteo Renzi, il volume - edito da Donzelli - vuole essere un contributo sul tema del Mezzogiorno particolarmente "caldo" in questa fase di rilancio dell'Italia. Potrete comprenderne le motivazioni e tanto più i contenuti leggendolo.
Nel volume il tema si è preso di petto il problema e vi sono tra l’altro offerti undici progetti su cui si metterà alla prova l’autenticità dei questi segnali di cambiamento. Altri se ne possono e devono aggiungerne.
Sono proposte operative che chiamano la pubblica amministrazione e le imprese (che sappiamo essere per la grande maggioranza piccole e medie) a prendersi le loro responsabilità, possibilmente e auspicabilmente condividendole prima con un approccio collaborativo, consapevoli ognuno dei propri ruoli. Sono progetti che hanno l’obiettivo di dare lavoro ai giovani, alle donne e agli uomini del Sud e del Nord e non solo. Certo per realizzarli ci vogliono coraggio e capacità d’innovazione. C’è il tema dei beni confiscati alle mafie che possono divenire un volano di innovazione e sviluppo, c’è il tema, ormai ineludibile, di elevare significatamente le competenze digitali degli imprenditori e dei lavoratori, oltre che delle famiglie, per entrare – insieme con un’adeguata banda larga -  dalla porta principale dell’innovazione dell’industria, dell’artigianato, del commercio, dell’agricoltura, del turismo; c’è quello della mobilità e delle infrastrutture per consentire finalmente quello scambio di merci e di persone vitali per lo sviluppo. Serve poi la politica industriale che il Governo sta varando e che per il Sud – come delinea il Masterplan “deve partire dai punti di forza del tessuto economico meridionale per valorizzarne le capacità di diffusione di imprenditorialità e di competenze lavorative e per promuovere l’attivazione di filiere produttive autonomamente vitali.” Occorre porre poi una forte enfasi per un deciso miglioramento della governance, con il principale obiettivo di ridare certezza di risorse e tempistiche, soprattutto consentire di riacquistare spazi genuini per la società civile al di fuori di processi mediatori che hanno finito per impantanare gli interventi imbrigliandoli in proceduralismi bizantini.
Ma non basta: c’è da investire nel turismo, nell’agricoltura di qualità, nelle Zone Economiche Speciali, così come sulle energie alternative, convincendo e convincendosi che una delle frontiere da raggiungere presto è quella di lavorare in rete tra le piccole e medie imprese. La competizione globale richiede questo, insieme a una continua innovazione nelle tecnologie e nei processi lavorativi. Alla base due tematiche chiave: la coesione sociale e la cultura. Collanti indispensabili per valorizzare e consolidare la spinta delle comunità e tracciare traguardi possibili nel medio –lungo periodo.

martedì 27 ottobre 2015

MEZZOGIORNO, SVILUPPO E SVIMEZ: QUALCOSA NON TORNA


Attento e circostanziato (più di 800 pagine) il Rapporto 2015  della SVIMEZ, presentato oggi alla Camera dei Deputati, nella sua analisi molte delle criticità che affliggono i territori meridionali e  tre temi principali su cui far leva per creare sviluppo: logistica economica, energia e città insieme con una sorta di piano strategico, ma solo industriale.
Quello che non ho trovato è invece una vision politico-strategica complessiva di tutto il Sud, che proprio a causa della sua attuale situazione – di fatto una seconda Italia – ha invece l’opportunità per disegnare con tutti gli attori (giovani, ma più di testa che non di età) imprese, pubblica amministrazione e imprese sociali, l’obiettivo cui tendere e da raggiungere nei prossimi 5-10 anni.
Su questo tema penso che occorra avviare un processo di proposta, confronto e quindi decisione che nasca dalle esigenze e dalle caratteristiche endogene dei territori e delle persone senza imporre modelli di sviluppo “stranieri” e “burocratico-meccanicistici”, fermo restando la responsabilità di ognuno a svolgere i proprio ruolo con etica e professionalità.

Un Sud dove sia assicurata la mobilità (e non le infrastrutture fini a se stesse) delle persone , delle merci e dei dati; l’industria, l’agroalimentare e il turismo (che nel Rapporto della Svimez si è perso) siano i mezzi per un benessere sostenibile ambientalmente, socialmente e economicamente integrati con il volontariato e le imprese sociali. Un Sud governato in questa fase critica storica con modalità innovative che vedano un approccio integrato tra Stato, Regioni e Enti Locali più focalizzato e quindi organizzato per la risoluzione delle problematiche e del raggiungimento dell’obiettivo generale che non sulla spartizione di deleghe, funzioni e competenze. 

domenica 25 ottobre 2015

AREE METROPOLITANE , OPPORTUNITA' DI INNOVAZIONE PER IL PAESE

Allego il mio intervento sul tema .



E' un tema caldo in questi mesi e per i prossimi anni, dove molti temi rimangono legati al nodo della governance e dell'organizzazione adeguata a gestire e sviluppare i servizi che il Comune dovrebbe fornire ai cittadini. In ancora troppe città l'efficienza e l'efficacia delle azioni comunali stenta a adeguarsi a un obiettivo che dovrebbe solo riguardare il bene comune e il benessere delle persone basati su una sostenibilità economica, sociale e ambientale come concordato con Europa 2020. Interferenze eccessive di una politica che solo ora da segnali di rinnovamento, ma che negli ultimi venti anni è degenarata troppo, accanto a incompetenze manageriali e professionali (spesso figlie della politica di cui sopra) non hanno portato nessuna innovazione, ma solo conservazione dello status quo e della tradizione di trattare il cittadino come suddito e non come proprietario. Ma la piramide si sta rovesciando .......
Partecipazione e condivisione, mobilità (fisica delle persone e delle merci e virtuale dei dati ) sono una priorità imprescindibile insieme a una attenzione decisiva per il Mezzogiorno.




mercoledì 14 ottobre 2015

L'ARTE DEL GOVERNO


Raccomanda un antico testo cinese,  scritto tra il 400 e il 320 a.c. e i cui punti sono più che attuali, che prima di affrontare affari di vita e morte occorre confrontarsi con cinque i punti e una conseguente serie di valutazioni per indagare la realtà dei fatti :

  1. DAO: ovvero far si che il popolo e i superiori abbiano medesimi intenti;
  2. CIELO: che indica lo yin e lo yang
  3. TERRA:ovvero lontananza e vicinanza, facilità e difficoltà di movimento....
  4. COMANDO: che indica le virtù dei superiori:conoscenza, sincerità, umanità, coraggio e severità
  5. REGOLA: che indica organizzazione, assegnazione dei ruoli....gestione logistica
P.S. L'autore è SUN TZU e il titolo è "L'ARTE DELLA GUERRA".

martedì 13 ottobre 2015

INNOVARE E' PROGRESSO (*)




Il mondo si sta muovendo con sempre maggiore dinamismo. Le recenti crisi economiche, ecologiche e sociali ci spingono a cercare nuovi modi di pensare e agire. Creatività e innovazione possono spingere la società verso la prosperità, ma è necessario farne un uso responsabile. Per rimanere in prima linea, l’Italia ha bisogno di essere più creativa e innovativa. Essere creativi vuol dire saper immaginare qualcosa che non esiste, cercare nuove soluzioni e nuove forme, disegnando attività, prodotti e servizi. La creatività è una dimensione fondamentale dell’attività umana. La creatività costituisce il cuore della cultura e dell’innovazione, ma deve essere garantito a tutti di coltivare il proprio talento creativo (e di tutelarlo legalmente). Come dimostra la storia industriale del nostro Paese, ora più che mai il futuro dell’Italia dipende dalla creatività e dall’immaginazione delle persone che sanno disegnare nuovi percorsi per il futuro.
La parola “innovazione” è principalmente legata al cambiamento attraverso la creatività. Nella maggior parte dei casi questo legame assume accezioni positive; nell’immaginario collettivo l’innovazione è qualcosa che può migliorare la vita nel futuro, e si correla a concetti come scienza, conoscenza e sapere creando rottura con il presente e il passato, “mitigando” – fosse solo sotto il profilo meramente psicologico – le paure che caratterizzano la vita moderna. Questo processo sociologico rende l’innovazione intrinsecamente e intimamente legata al cambio di paradigma del progresso umano, quasi diventandone il catalizzatore.
Il quadro della tecnica e della progettualità disegnato nei capitoli precedenti ipotizza scenari concreti per variare il come e dove l’essere cittadino o impresa impegna (spreca) il proprio tempo di vita. Maggiore crescita potrebbe oggi essere meglio intesa come maggiore competizione sinergica che non maggiore competizione antagonista (tra imprese e cittadini, tra imprese e imprese, tra cittadini e imprese, nel promuovere e nell’ottenere il rispetto dei propri diritti).
Da molti anni, in Italia, si parla di educazione dei giovani all’innovazione, in linea con le politiche adottate dagli altri paesi, come Svezia, Singapore, Stati Uniti, Finlandia, Svizzera, Corea del Sud, Islanda. Nella propensione all’innovazione, infatti, si rilevano differenze geografiche e territoriali: in alcuni paesi o aree urbane si cerca di orientare gli individui verso comportamenti favorevoli alla creazione di attività di innovazione, in altri molto meno. In alcune aree del mondo, anche dove l’ecosistema statale è poco propenso all’innovazione, esistono radici culturali popolari di fortissimo orientamento alla creatività e all’innovazione stessa. Spesso, queste aree sono ad altissima contaminazione e fertilizzazione crossculturale (molti immigrati che portano le loro culture e generano nuovi business, nuovi prodotti, nuovi servizi) (Florida, 2003).
Di qui la necessità, individuata da alcuni studiosi e policy maker, di indirizzare gli strumenti educativi verso la promozione dell’innovazione e della creatività proprio nei contesti meno propensi al cambiamento e in aree apparentemente “povere” per la forte presenza di immigrazione.
Le modalità per educare all’innovazione sono diverse; la tendenza generale è di intervenire nei programmi scolastici e universitari, promuovendo cultura scientifica, tecnologica e di business. Tale tendenza, però, tralascia di considerare le caratteristiche delle diverse fasi cognitive degli individui: è nell’età infantile, infatti, che si è più propensi all’innovazione e alla creatività, e quindi sarebbe opportuno intervenire con programmi ad hoc fin dall’infanzia. Proprio in questo campo si comincia a scorgere qualche spiraglio di sperimentazione sin dalle scuole materne e primarie di percorsi di stimolo alla creatività e all’innovazione, di nuove metodologie, di nuovi strumenti educativi come tablet pc, di attrezzatura scientifica e di metodologie ad alto tasso di creatività e sensibilità al mondo reale. Purtroppo il sistema educativo pubblico, dopo gli anni recenti di riforme al ribasso, è lontano anni luce da questo approccio.
Inoltre, non sempre è vantaggioso promuovere esclusivamente programmi riguardanti la conoscenza tecnico-scientifica ed economico-gestionale; sarebbe invece auspicabile intervenire sull’alfabetizzazione tecnologica e strumentale in termini non solo di utilizzo, ma anche di reali vantaggi e benefici nei vari campi di applicazione e soprattutto nel tessuto imprenditoriale. In altre parole, banalizzando il concetto, cittadini e imprese “meritano” che uno Stato insegni loro sia a usare uno stetoscopio sia a costruirne uno e a venderlo, ancor meglio a crearne una variante che sia un nuovo prodotto che fornisce migliori risultati e apre un nuovo mercato.
Una proposta educativa che rilanci la capacità di innovare in questo Paese, dunque, dovrebbe comprendere non solo gli aspetti contenutistici, ma anche e soprattutto modelli innovativi, sviluppando anche fattori emozionali e valoriali dell’innovazione stessa, spaziando dalla scienza alla cultura altrui. L’impresa imparerà a capitalizzare su conoscenze acquisite da scienza e cultura, con le quali avrà costruito un rapporto costante e diretto attraverso le proprie risorse umane educate con i nuovi modelli “aperti” e grazie a un rapporto di trasferimento diretto da e verso scienza e cultura.
Questo metodo che parte dall’educazione aiuta a bypassare un elemento frenante sino a oggi. Il sistema economico-finanziario ha una scarsa propensione al cambiamento. Ciò è vero a livello mondiale – fatta eccezione per qualche “avventurosa” nazione come l’Islanda in cui il popolo si è preso la responsabilità di decidere su questo argomento – visto che nonostante crisi perduranti si persevera nei vizi della finanza invece di cambiare i suoi paradigmi.
Lo spirito imprenditoriale, per sua natura intrinseca, deve creare il “nuovo”, l’attitudine all’innovazione non è adeguatamente coltivata e non è riconosciuta come valore poiché i piccoli imprenditori hanno difficoltà e resistenze “culturali” ad affrontare le nuove sfide dei mercati e non riescono ad andare oltre le loro visioni tradizionali in termini di business e di prodotto. La realtà italiana soffre ancor più di questo fattore laddove la politica ha falsato lo sviluppo d’impresa attraverso clientelismi e favoritismi che hanno spento la capacità di competere delle PMI. Voler avere vita facile in un ambiente competitivo è azione suicida, lo dicono le leggi fondamentali dell’evoluzione naturale.
Alcune PMI italiane non sembrano possedere strategie definite per l’innovazione perché mancano di una tradizione e di una cultura volte all’innovazione. Una piccola impresa nata per fare body rental di personale paramedico per una struttura ospedaliera pubblica che segue gli input del politico di turno che promette di far fare outsourcing ha ovviamente poco interesse e poca voglia di innovare, competere, crescere in maniera sana e sostenibile. Fortunatamente, invece, molte aziende nascono e crescono con un imprinting esclusivamente innovatore. Ci appare quindi sintomatica la visione a breve termine propria delle PMI, per cui si rincorre il miraggio delle opportunità a breve termine, perdendo di vista gli effetti negativi sul lungo e medio periodo. La stessa percezione e accezione dell’innovazione nelle PMI è alquanto variegata. Dall’innovazione come driver di tutta l’attività d’impresa alla mera informatizzazione, come rivelano studi e analisi sul tasso d’innovazione delle PMI rispetto alla diffusione al loro interno delle TIC.

(*) Estratto da L'INNOVAZIONE INTEGRATA di C. Cipollini e N.C. Rinaldi. Ed. Maggioli - Rimini -2012

giovedì 17 settembre 2015

ORGANIZZIAMOCI MEGLIO PER INNOVARE



E’ indispensabile un approccio sistemico per organizzare il lavoro specie nelle organizzazioni di servizi, sia pubbliche sia private e soprattutto nell’amministrazione pubblica. Ma la cosa non sempre e ancora non dovunque avviene. La rete di relazioni tra i soggetti (settoriali-disciplinari o territoriali o funzionali che sia) deve tendere a costituire un sistema che si adatti alle circostanze – e direi anche ai caratteri dei soggetti – sempre con l’obiettivo di definire prima e realizzare poi un intervento in forma unica. Un sistema caratterizzato, dunque, da “scambiatori” con ruoli e funzioni specialistici, consci delle funzioni e delle responsabilità degli altri “scambiatori”, consapevoli della valenza e della responsabilità della propria funzione, ma solo e unicamente in quanto funzione di volta in volta interrelata con una o più delle altre funzioni attraverso la rete del sistema stesso. A questo proposito è utile richiamare l’intervento di Alberto De Toni in riferimento alla complessità del management. In particolare, mettendo a confronto i modelli manageriali classico e complesso (in figura), De Toni sottolinea:
Il modello classico prevede che l’organizzazione sia semplice, in un ambiente stabile e in un futuro prevedibile sulla base di proiezioni di serie storiche. Il successo si ottiene in queste condizioni tramite equilibrio e stabilità. Il modello complesso si basa invece sull’idea che l’organizzazione sia un sistema complesso adattivo, in un ambiente turbolento e in un futuro prevedibile solo in parte grazie allo studio dei megatrend. In questa situazione il successo deriva dal non-equilibrio e dal cambiamento, come la sopravvivenza nei sistemi complessi adattivi.(.........) In una prospettiva di autorganizzazione, i singoli elementi contribuiscono all’assorbimento della complessità tramite un processo bottom-up. Le singole persone, con i loro vari ruoli, acquistano sempre più importanza e spesso dimostrano di avere la capacità di una maggiore comprensione della variabilità esterna [...]. Il cambiamento di paradigma organizzativo da una mente a molte menti procede verso una comprensione sempre maggiore della complessità.-(2010, p. 81)



Modello manageriale classico e complesso a confronto Fonte: De Toni (2010, p. 82)

È evidente come il modello classico in realtà non sia sbagliato e comunque si adatti perfettamente a organizzazioni – o a suborganizzazioni – che gestiscono attività stabili, semplici e che non necessitano di cambiamenti repentini: penso al servizio di sorveglianza di un edificio o al servizio fornito dall’autista di una società di trasporti pubblici su gomma. La realtà è che il modello tradizionale è insufficiente, come sostiene Savage (2009, p. 247): «Quando il futuro è come il passato ha senso organizzare attraverso la routine. Ma quando sfere rotonde, inaspettate armonie e caleidoscopici cambiamenti tecnologici sono all’ordine del giorno, è necessario attuare una strategia per la complessità e la varietà»
La tendenza verso l’autorganizzazione, dunque, diventa sempre più forte anche per le organizzazioni che si occupano in particolar modo dello sviluppo sociale e economico. Un’autorganizzazione in cui l’aspetto fondamentale è la capacità di responsabilizzarsi nel proprio ruolo e di collaborare con i ruoli altrui: ciò che conta è non solo e non tanto il tipo di organizzazione (ministero, impresa, ecc.) e le modalità di funzionamento, ma “chi risponde a chi”.
Non si tratta di lasciare libertà assoluta, ma di favorire un contesto in cui possa nascere l’auto-organizzazione: «L’auto-organizzazione non significa team autogestiti, o empowerment, o organizzazione piatta. Non è un laissez-faire management. Significa impegnarsi nel guidare l’evoluzione dei comportamenti e delle interazioni invece che specificare comportamenti effettivi in anticipo» (Olson, Eoyang, 2001, p. 161).
Il modo pratico perché gli elementi del sistema impresa cooperino e competano è favorirne la partecipazione
In questo contesto è utile, se non indispensabile, ripensare i modelli di governance che attualmente gestiscono i processi di ideazione e attuazione degli interventi per lo sviluppo, adattandoli adeguatamente e specificamente alla realtà circostante. Stan Davis e Christopher Meyer (1999, p. 105), rispettivamente direttore e ricercatore del Center for Businness Innovation della Ernst & Young, ricordano a tale proposito come un’«organizzazione adattiva»
significa che la ragnatela organizzativa deve funzionare come una ragnatela economica. L’attività economica obbedisce sempre alle stesse regole, sia che si tratti di un sistema economico, di un’azienda, di un singolo individuo. Blur è segmentabile. In secondo luogo, le conoscenze sui sistemi adattivi possono essere applicate anche alle organizzazioni. Prendete per esempio il concetto di varietà: vale la pena rinunciare in una certa misura all’efficienza per garantire quella diversità di pensiero che alimenta l’innovazione. Anche la permeabilizzazione dei confini favorisce il fiorire di nuove idee e un’organizzazione paradossalmente è più robusta se è instabile, al “limite del caos”. In terzo luogo, due strategie per creare adattività sono le seguenti: essere al tempo stesso “piccoli” e “grandi” e creare un benefico rimescolamento all’interno dell’organizzazione.
In questo scenario specie la Pubblica Ammnistrazione deve incrementare notevolmente i propri livelli di responsabilizzazione delle persone coinvolte, così come la loro collaborazione interfunzionale; gli interventi e le azioni definite devono accentuare l’interdisciplinarietà su livelli orizzontali.
Molte saranno le resistenze, e probabilmente non tutte le organizzazioni saranno auto-organizzazioni. Quello che ci sentiamo di affermare è che tutte vivranno la necessità di un’apertura ai contributi bottom-up. È necessario perché là fuori c’è una rete che corre a una velocità mai vista prima. Oggi in un mercato frenetico e a tecnologia sempre più avanzata, l’immaginazione è il valore aggiunto delle organizzazioni di successo. È necessario dare spazio a quanti liberano fantasia e creatività per immaginare e costruire un domani non prevedibile. Per gli uomini e per le organizzazioni il futuro appartiene a chi sa immaginarlo” (De Toni, 2010, p. 95).

Rif. Bibliografici
Cipollini C. (2011), La mano complessa. Condivisione e collaborazione per la gestione dello sviluppo dei territori, ETS Edizioni, Pisa
DAVIS S., MEYER C. (1999), Blur. Le zone indistinte dell’economia interconnessa, Olivares, Milano. 

DE TONI A.F. (2010), Teoria della complessità e implicazioni manageriali. Verso l’autorganizzazione, in “Sinergie”, 81, gennaio-aprile.

OLSON E.E., EOYANG G.H. (2001), Facilitating organization change. Lessons from
complexity science, Jossey Bass-Pfeiffer, San Francisco.

SAVAGE C.M. (2009), 5th generation management. Co-creating through virtual enterprising, dynamic teaming, and knowledge networking, Butterworth-Heinemann, Boston (rev. ed.).